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Da Dal teatro alla Mostra di Venezia un Cappuccetto Rosso interculturale di Salvatore Barbieri (Corriere di Romagna)

 

Martinelli, tutto parte dalla pièce “Thioro la bambina scalza. Un Cappuccetto Rosso senegalese” delle Albe di suo fratello Marco Martinelli e Mandiaye Ndiaye.
«Sì, tutto nasce tanti anni fa dall’esigenza teorica di Ravenna Teatro di elaborare progetti di cooperazione con l’Africa. Questa spinta culturale ha fatto sì che le Albe sviluppassero questo rapporto lungo il corso di 30 anni. È così che è nato il Kër Théâtre: uno dei fondatori è Moussa Ndiaye, figlio di Mandiaye che porta avanti lo spirito filosofico del padre. La messa in scena è l’occasione per parlare di questa interculturalità, un mix Italia-Senegal. Nel Paese africano stanno continuando a portare lo spettacolo in tournée e poi in primavera torneranno in Italia. Abbiamo partecipato al bando “MigrArti” venendo selezionati su 137 partecipanti e poi ancora scelti tra i 12 che sono stati presenti a Venezia domenica e lunedì scorsi, ottenendo un’ottima risposta dal pubblico. A dicembre sarà proiettato nell’ambasciata d’Italia in Senegal. Fino ad allora girerà nei festival internazionali. E poi in primavera lo spettacolo teatrale torna in Italia dove andrà in tour e prima dello show sarà proiettato il corto».
Come definirebbe questa operazione? Una forma culturale di “aiutiamoli a casa loro”, un nuovo modo di accogliere e ricambiare? Come?
«Sapevano che con il nostro messaggio rischiavamo un fraintendimento. Parlando di intercultura potremmo essere strumentalizzati ma non ci preoccupa. Non nasce da noi, ma fortemente da Ndyaie padre, migrante venuto in Italia e che ha avuto successo come attore ma ha continuato a pensare al suo villaggio d’origine per creare un ponte, un rapporto proficuo tra culture che si intrecciano, un meticciato culturale. Lo spettacolo e il film sostengono questa posizione. Il figlio di Ndiaye è nato qui in Italia e non era mai stato in Senegal. Ma suo padre gli ha fatto conoscere il suo Paese d’origine. Noi diciamo c’è anche questo nell’immigrazione. Se non sono gli africani a cambiare l’Africa, chi la cambierà? È un messaggio complesso ma il racconto è semplice. Il corto si chiude con il ritorno dei protagonisti a casa in Senegal dove fanno teatro con le loro famiglie».

 

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